Fare partecipazione sul digitale: 5 cose che ho imparato

11 Novembre 2021


[Ha collaborato Ilaria Cottu]

La signora Rosa è rimasta da sola nella riunione di Zoom. Da qualche minuto, le persone sono saltate nelle stanze virtuali per i lavori di gruppo; la signora Rosa non ha però la minima idea di cosa sta succedendo: chiede aiuto perché non sente più nessuna voce. Scopro così che ha 93 anni, ed è sola e non-vedente. Con stupore, mi chiedo: cosa sta immaginando del mondo virtuale che le abbiamo costruito attorno in questa riunione? Come diavolo ha fatto ad arrivare fin lì? E soprattutto: davvero ho pensato che una assemblea on-line ben organizzata potesse sostituire quello che si faceva prima, senza grossi problemi e pentimenti?

La farò breve. L’esperienza di nuovi strumenti digitali è uno dei tratti distintivi della vita pandemica – della mia di sicuro. Inizialmente ci siamo trovati spiazzati, poi ci siamo messi d’impegno a imparare, infine ci abbiamo preso gusto; e nel giro di qualche settimana, abbiamo ingrandito a dismisura la cassetta degli attrezzi. Ora – in questa lunga transizione – ragioniamo su cosa tenere, cosa migliorare e cosa abbandonare per tornare felicemente alle abitudini pre-pandemia.

Sono discorsi che valgono ovviamente per molti aspetti delle nostre giornate. Mi concentrerò su una parte del mio lavoro, la progettazione e conduzione di percorsi di facilitazione, che in questi due anni ho sperimentato in modo massiccio sulla dimensione digitale.

Cosa tenere di buono? Ecco 5 cose che ho osservato e imparato.

1. Gli spazi del digitale vanno arredati e resi accoglienti, come tutti i luoghi di incontro e relazione.

  • Non si tratta di travasare sul digitale il lavoro tradizionale. L’opportunità è pensare a qualcosa di nuovo che mette in gioco il ruolo del facilitatore. Il facilitatore digitale è allora una professione che ha dei tratti distintivi: è un lavoro più difficile, più pianificato, e meno adatto all’improvvisazione creativa.
  • Ho compreso l’efficacia di non focalizzare l’attenzione solo su singoli momenti di incontro (riunione, workshop, focus group, etc.). La dimensione digitale impone di disegnare percorsi di partecipazione con molta cura e attenzione nella scelta degli strumenti più adatti, che vanno alternati e resi più fluidi (momenti di incontro, survey, campagne di comunicazione, etc.)
  • Piuttosto, l’opportunità è disegnare percorsi fatti di tanti episodi dentro una catena più lunga di momenti che ingaggiano a più livelli il pubblico. Anche nell’organizzazione di un incontro serve curare molto le fasi precedenti (ad esempio, con condivisione di materiale), con altre che succedono subito dopo (la collaborazione a realizzare e revisionare documenti). In altre parole, si tratta di avviare un dialogo a più tappe, con opportunità di conversazione che non si ferma al singolo evento.

2. Nuovi soggetti si aggiungono agli “abitudinari” della partecipazione

  • La dimensione digitale ha allargato la platea a dismisura. Se questo vale per il numero di persone raggiunte, cosa dire per la loro rappresentatività? In questo, la dimensione di chiamata e invito alla partecipazione è certamente più difficile.
  • È molto più faticoso fare outreach “on-line” rispetto a quello tradizionale: il rischio è quello di raggiungere persone già all’interno di network più o meno codificati. Viceversa, un’attività estesa di “invito alla partecipazione” può rimescolare completamente gli interlocutori.
  • Nuovi soggetti (singoli o organizzati) si aggiungono agli “abitudinari” della partecipazione. Questo non è un effetto da poco, perché si affacciano persone non abituate, che vanno abilitate con strumenti e regole del gioco chiare.
  • Una considerazione breve ma evidente: il gap digitale sfavorisce ancora di più chi non ha accesso a questi servizi. Chi era escluso prima, rischia di esserlo ancor di più (bambini, anziani, stranieri, etc.).

3. Aumentano le occasioni di partecipazione

  • A parità di risorse (di tempo, di costi organizzativi), la dimensione digitale può aumentare e di molto le occasioni di partecipazione.
  • È difficile creare un clima di fiducia senza la presenza di “corpi” che riempiono fisicamente lo spazio, perché viene azzerata la dimensione informale che precede o segue un incontro. Questo gap può essere in parte superato con una serie di iniziative che precedono l’incontro, come il contatto diretto per illustrare gli obiettivi e le modalità con cui si svolgerà l’incontro.
  • Per alcuni momenti di lavoro che non devono andare in profondità, gli incontri on-line riescono bene se non meglio; perché più focalizzati sull’argomento, all’interno di tempi di lavoro più certi, e con strumenti molto efficaci. Si perde, insomma, meno tempo e si arriva a ottimi risultati. 

4. Una differente gestione del conflitto

  • Quando si abita una piattaforma virtuale il canale comunicativo dell’incontro diventa a senso unico e “fare squadra” non è semplice, sia tra i partecipanti che tra i facilitatori. Un soggetto che ostacola o monopolizza il confronto diventa un elemento molto più disturbante per il gruppo e gestire il conflitto richiede energie maggiori.
  • Il raggio di azione e osservazione del facilitatore si restringe e diventa più complesso cogliere le dinamiche interne al gruppo, eventuali opposizioni o dissensi, se non espressamente palesati.
  • Riuscire a ricreare un clima informale e conviviale diventa fondamentale per lavorare all’interno di un ambiente relazionale positivo. Risulta molto efficace la creazione di piccoli momenti rituali all’interno degli incontri, da ripetersi nel caso di un ciclo di eventi, come per esempio momenti in plenaria o un tempo per le presentazioni. 
  • La definizione di regole di convivenza diventa un aspetto fondamentale che permette di stabilire norme condivise non solo per l’utilizzo degli strumenti digitali, ma per vivere insieme lo spazio virtuale.

5. Mischiare le due dimensioni: digitale e fisico

E quindi? E quindi bisogna prendere il meglio di quanto sperimentato on-line e portarlo dentro percorsi che mischiano le due dimensioni, digitale e fisico. Si tratta di costruire dialoghi, con percorsi inclusivi disegnati con la stessa attenzione di prima; consapevoli che adesso è possibile raggiungere risultati anche più interessanti con un pubblico che spesso è “nuovo” di queste esperienze di partecipazione, con un bagaglio di conoscenze da mettere a valore, a cui vanno dati tutti gli strumenti per partecipare.

È un’opportunità che vale la pena percorrere fino in fondo. 

ps

Con la signora Rosa ho trascorso una bella mezz’ora a chiacchierare della sua città, di quando era giovane. E anche del sindaco, che se lo ricorda già discolo quando era bambino. Alla fine, è andata benissimo. Anche con Zoom di mezzo.


Illustrazione di copertina: Small Caps