23 Luglio 2024
“Bologna città 30” è un progetto tosto.
Come va fatta la sua comunicazione? Che cosa hai imparato da questa esperienza?
Sono le domande che ho fatto a Elena Milazzo di Sottosopra Comunicazione, agenzia di Milano che cura la comunicazione di Bologna Città 30 per il Comune di Bologna e la Fondazione Innovazione Urbana.
L’occasione è d’oro per capire come sta andando.
Partiamo subito dal nome.
Coinvolgere le persone sulla bontà delle “zona 30” (e più in grande, delle “città 30”) parte da un deficit di partenza: il nome, che di fatto si appoggia al concetto di limite.
Come avete affrontato questa cosa?
Premessa: per ogni realtà va studiato il contesto e lo storico e quindi disegnata una strategia ad hoc. Per Bologna ovviamente è una domanda che ci siamo posti all’inizio, partendo da due considerazioni.
1 – Essere parte di un circuito internazionale.
Con un altro nome, avremmo perso l’opportunità di far parte di un circuito internazionale di città che si definiscono città 30 e hanno già abbracciato il concetto “#love30”.
Città che sono tutte “felici” di aver fatto questa scelta.
2 – Un limite che è un valore
Chiamandola Bologna Città 30, conoscevamo il rischio di identificare la città 30 solo con il limite di velocità.
Però ci siamo detti: non giriamoci attorno! “30 all’ora” è un valore per chi ha avuto occasione di sperimentarlo. Lo dimostra il fatto che nessuna delle città a 30 sia voluta tornare indietro.
Il nostro lavoro è proprio questo: informare e dimostrare con vari strumenti, storytelling e dati che attorno ai 30 km/h gravitano tantissimi vantaggi.
Alla fine, vale la pena fare emergere anche reazioni forti. Avendo poi la responsabilità di spiegare, accompagnare e motivare.
Che equilibrio avete trovato per Bologna?
La scelta alla fine è stata: portare a galla con coraggio e con trasparenza il tema della velocità ma accompagnandolo con un logo e un payoff dinamici per raccontare gli altri benefit.
Il 30 di Bologna non è un cartello stradale, come hanno fatto tante altre città; è un numero con un grande cuore dentro, e il cuore è il simbolo principe che avvicina la città alle persone.
Infatti, il payoff è Più spazio alle persone. Che poi viene declinato quindi in Più spazio alle bambine e ai bambini, più spazio alla salute, più spazio all’ambiente, ecc.
In concreto, quale è stata l’azione comunicativa più riuscita?
Devo dire che dai feedback ricevuti, le azioni più impattanti sono state quelle in strada. Quindi manifesti, affissioni, banner, i new jersey.
I cantieri poi sono una grossa opportunità per costruirci attorno un’azione comunicativa.
Perché riusciamo a mostrare concretamente quello che le persone fanno fatica a immaginare, ad esempio come diventerà quella strada o piazza per essere più bella e sicura.
Non stiamo più parlando di una visione, ma questa cosa la stiamo realmente facendo. Il cambiamento è in corso.
Mi fai un esempio?
Ponte San Donato! Fra poco pedoni e ciclisti avranno finalmente un marciapiede e una ciclabile comodi e in sedi separate.
Sul cantiere, abbiamo realizzato una comunicazione con un linguaggio unconventional e un taglio meno istituzionale: serve a gratificare proprio chi percorre quel ponte a piedi o in bici.
Questa cosa funziona molto bene.
Lo sforzo è quindi spiegare e marcare con un cartello “Anche questa è Bologna 30” le strade scolastiche, le piazze pedonali, le nuove ciclabili e le tante revisioni dello spazio stradale che definiscono di fatto che cos’è la città 30.
Quali sono le 3 cose importanti che hai capito da questo lavoro?
Come agenzia abbiamo imparato moltissimo. Sia sul piano tecnico-urbanistico sia sulle dinamiche all’interno di un’amministrazione importante come quella di Bologna.
Ma se devo pensare a tre cose, ti direi:
1. La determinazione della politica
Abbiamo visto fin dove si può spingere la volontà politica nel sostenere una scelta così forte. E fin dove si può spingere la politica nel contrastare una scelta così forte.
Il dibattito politico è stato durissimo, ha superato i confini bolognesi fino a raggiungere l’interesse nazionale, il che ha acceso i riflettori sulla città 30 tanto da farla diventare un trend topic in tutta Italia.
2. Città 30 non ci si improvvisa: servono visione e piano finanziario
Stiamo chiedendo alle persone di cambiare un’abitudine radicata e di scardinare quello che il nostro cervello ha automatizzato. Chiedere di cambiare costa fatica ed è comprensibile essere smarriti.
Per accompagnare un cambio comportamentale ci vogliono tempo, costanza e una discreta pressione nella comunicazione. Ti informo da una parte, ti emoziono dall’altra, ti rassicuro sui dubbi e ti coinvolgo il più possibile.
Questa pressione però dipende anche dalla capacità economica sul medio e lungo termine al servizio della comunicazione.
Questo è un punto cruciale: unire la trasformazione della città (costi infrastrutturali) con un lavoro di trasformazione culturale (costi di comunicazione).
Tutti sforzi che devono durare anni. Quindi è importante pianificare bene anche le risorse per la comunicazione, come ha fatto Bologna, perché Città 30 non ci si improvvisa.
3. Reattivi all’imprevisto, ma senza navigare a vista
Reagire rapidamente agli avvenimenti è una parola d’ordine.
Come ti puoi immaginare, inizialmente abbiamo costruito una strategia puntuale delle fasi di comunicazione per accompagnare un cambio così grande nel tempo.
Poi arriva la polarizzazione politica, il nuovo Codice della Strada, e tutto il resto. E il piano minuziosamente sviluppato deve essere aggiornato per aderire alla realtà del momento.
La flessibilità, la velocità e soprattutto la collaborazione strettissima tra agenzia e team di lavoro, nel nostro caso con Fondazione Innovazione Urbana e Comune di Bologna, sono la chiave per raddrizzare la rotta quando serve, senza però mai navigare a vista.
Dopo 1 anno dall’avvio, cosa serve adesso?
Oggi, dopo il rumore dei mesi di lancio, abbiamo bisogno di agire in due direzioni: la prima è consolidare la consapevolezza della cittadinanza su come si stia trasformando Bologna.
E va fatto partendo dai dati che man mano avremo a disposizione, facendoli “toccare con mano” alle persone nelle loro storie di vita e nei loro quartieri.
L’altro aspetto è costruire una rete di sostegno all’Amministrazione, fatta di “ambasciatori”: aziende partecipate, possibilmente brand e altri soggetti influenti che possano trasmettere alle proprie audience il senso positivo della scelta di Bologna.