Come convincere il nostro cervello. Ovvero, la “spinta gentile” alla mobilità sostenibile

13 Ottobre 2022


Il tema è sempre lo stesso: come comunicare al meglio le proposte di un Piano urbanistico per renderlo comprensibile e convincente.

Come arrivare ai cittadini, attraverso un linguaggio e un approccio semplice ed efficace.

Il progetto “E pur ti muovi” realizzato da Kilowatt per il Comune di Cesena mostra proprio come si può innovare gli strumenti di ricerca e comunicazione, anche all’interno del percorso di redazione di un PUMS – Piano Urbano della Mobilità Sostenibile.

L’approccio utilizza la teoria del nudging. Ovvero: per cambiare le nostre abitudini bisogna adeguarsi a come funziona il nostro cervello quando prende le decisioni. Servono delle grandi-piccole “spinte gentili” per farci fare quell’ultimo passettino verso il cambio di abitudine.

Anche in tema di mobilità sostenibile. E con una convinzione chiara: il cambio di comportamento è a portata di mano, è solo una questione di volontà individuale (e collettiva).

Ho incontrato Gaspare Caliri e Letizia Melchiorre di Kilowatt e mi hanno spiegato come funziona questo approccio.

Inizialmente il compito era proprio quello di coinvolgere i cittadini e raccontare le misure previste dal PUMS. Da dove siete partiti?

Per prima cosa, una scelta iniziale: lavorare su un pubblico specifico, già parzialmente sensibile a questi temi. Ossia, le persone che vorrebbero adottare dei comportamenti di mobilità sostenibile, ma non necessariamente lo fanno già.

Che strumenti avete utilizzato?

Il primo è l’etnografia condivisa. È un’indagine partecipata, una “osservazione dal basso”: abbiamo chiesto alle persone, attraverso un paio di questionari, di auto-osservare e di descrivere le proprie abitudini e i propri pensieri. Come, ad esempio, cosa ci spinge o cosa ci trattiene dal fare una camminata o un giro in bici rispetto all’uso dell’auto.

Avete sfruttato un momento particolare, in cui le persone avevano molta attenzione su questi argomenti.

Eravamo nella seconda fase pandemica, con ancora molto lavoro da casa. La passeggiata o il giro in bici erano più frequenti, e anche una piccola occasione di “evasione” quotidiana. Era un tema “caldo”, a cui le persone prestavano molta attenzione. In questo modo, è stato più facile andare in profondità sui comportamenti.

Su questi risultati abbiamo poi costruito una campagna per comunicare le azioni e alcune delle proposte presentate nel PUMS. In questo modo, abbiamo scelto le leve di racconto più efficaci per quel pubblico, attraverso i temi emersi dalla ricerca.

Cosa è venuto fuori dai questionari?

I fattori di resistenza, ad esempio. Molte persone ci hanno raccontato gli aspetti psicologici di resistenza personale al cambiamento. Ci aspettavamo più risposte “classiche”. Come ad esempio la mancanza di piste ciclabili.

Quali sono i profili comportamentali che avete trovato?

A partire dalle risposte, siamo arrivati a costruire tre profili:

  • Il free rider: chi già pratica la mobilità sostenibile, ma in una dimensione solitaria.
  •  L’esploratore: quella figura intermedia che ha già esplorato questa dimensione, ma non la traduce (ancora) in un comportamento abituale.
  • Il ritardatario”: una persona sensibile a questi argomenti ma per cui la mobilità sostenibile resta ancora un buon proposito.

Per la campagna, ci siamo concentrati proprio sulla categoria di mezzo.

A questi, non serve spiegare quanto è bello andare in bicicletta: già lo sanno. Ci serve trovare e raccontare quei piccoli grandi attivatori che possono dare quella “spintarella” finale.

I risultati dell’indagine “e pur ti muovi”, i rituali di movimento (Kilowatt / Comune di Cesena)

E quali sono questi attivatori?

Il nostro cervello è abituato a prendere le decisioni attraverso scorciatoie: sarebbero altrimenti troppe le variabili da considerare per prendere ogni decisione in modo razionale. Il punto è proprio entrare nel flusso del percorso veloce che facciamo quando scegliamo, trovare quei pochi fattori di soddisfazione o frustrazione, e usarli come leva.

Il tema è certamente tenere questo approccio che lavora sul micro dentro un quadro macro di cambiamento. Mi fate un esempio?

Non ci sono solo cose grandi infatti. Per fare un esempio semplice: se il problema è “mi piacerebbe usare la bici più spesso, ma le ruote sono sgonfie”, è importante far sapere che il nuovo piano prevede anche dei punti a colonnina per aggiustare e riparare la bici da soli.

Oltre a comunicare meglio, dove avviene poi il passaggio all’abitudine?

C’è un livello intermedio, come il passaparola dentro micro-gruppi (amici, colleghi, etc.). Dentro questa dimensione si creano le condizioni per essere “trascinati”. Ad esempio: se vedi tutti i giorni un collega che usa la bici per venire al lavoro, è più probabile che questa cosa venga in mente anche a te. 

Ma poi sappiamo che la sfida vera è trasformare le piccole occasioni saltuarie in cambiamento strutturale, quindi in abitudine.

Per approfondire: progetto “e pur ti muovi”

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